QUOTE (airlander @ 10/30/2016, 03:19 PM)
ad un antenato doc
quando poi vedo una caravan d'epoca non mi so trattenere pensando, come per le auto, a quanto siano anonime quelle le attuali.
Grazie per i messaggi di benvenuto. E un saluto a tutti, ancora una volta. Sono d'accordo, il fascino delle auto d'epoca è anche nella loro diversità. Le auto d'oggi, dal disegno ottimizzato dai computers, si assomigliano tutte. Sono anche rimasto colpito dalle parole di LUKE, quando dice "questa è la ROULOTTE, queste erano le vere FAMIGLIE". Io non so bene che cosa debba essere una "vera FAMIGLIA", ma so che non sempre le famiglie funzionano abbastanza bene da poter ambire alle maiuscole. Anche allora c'erano tante famiglie infelici, e coppie che divergevano, ma senza il coraggio o la possibilità di ammetterlo. La roulotte, nel ristretto giro di quelli che arrivavano a sperimentarla, poteva offrire un bel contributo a rinsaldare l'affiatamento familiare: la novità di quell'oggetto bianco e scintillante, il contatto con la natura, l'affrontare e superare insieme piccoli, facili problemi, l'intimità, la necessità di coesione, la facilità nell'instaurare nuovi (anche se spesso effimeri) rapporti sociali all'insegna del rispetto e della semplicità; e l'entusiasmo della scoperta, fatta insieme, di luoghi nuovi e di nuove cose; tutto questo di sicuro aiutava l'equilibrio della coppia e della famiglia. Credo che anche oggi la roulotte possa offrire quel contributo alle famiglie, ma c'è un diverso pericolo: il fatto di non riuscire mai a sganciarsi dal quotidiano, attraverso computers, e smartphones, e campeggi e aree di sosta con il wifi, potrebbe vanificare in parte quel ruolo coesivo. Forse è questo che intende Luke?
Mi spiego meglio: ammetto di sentirmi fortemente irritato se il mio interlocutore armeggia con lo smartphone mentre gli parlo; eppure il telefonino lo hanno tutti, e quasi tutti fanno la stessa cosa: siamo indotti, al giorno d'oggi, a mancarci di rispetto vicendevolmente. Quando si è travolti dalla droga dell'informazione in tempo reale, nemmeno lo spirito del roulottista giova; anche in viaggio con la roulotte, siamo spinti a essere un po' schizofrenici, e a spartire la nostra attenzione su troppi fronti, uno solo dei quali, forse, è costituito da chi fisicamente sta con noi. Aggiungo che, sia per lavoro che per interessi personali, sono personalmente un entusiasta della rete, e dell'informatica, e non vorrei certo lasciare a casa il cellulare o il computer; ma bisogna usarli con grande attenzione, e non permettere che danneggino i rapporti personali, il guardarsi in faccia, il sorridersi o farsi la faccia scura, il leggere insieme il giornale o un bel libro. Il "metterci la faccia", nei rapporti con gli altri. La roulotte esalta i rapporti sociali e familiari, e la iper-connessione telematica potrebbe invece vanificare questi aspetti, come spesso accade nella vita quotidiana. Le vere famiglie di cinquant'anni fa effettivamente non correvano questo rischio. Scusate questa divagazione.
Anzi, per farmi perdonare la filosofia, vi allego qualche altra foto d'epoca: mio padre che aggancia la roulotte con ancora addosso la cravatta (si intravvede, veniva direttamente dall'ufficio; e notate il gancio d'epoca dell'ARCA, con il maniglione di bloccaggio della sfera); qualche giorno dopo, molto più rilassato, davanti al castello di Chambord; e poi sulla spiaggia, assieme a mia madre, al rientro dal grande viaggio del 1964.
Una parte importante nel modo positivo di vivere la roulotte negli anni '60, lo ebbero due signori che voglio ricordare qui per il loro ruolo non solo di entusiastici imprenditori, ma direi quasi di "educatori" alla vita di campeggio e di roulottismo (poi si sarebbe detto "caravanning"): l'avvocato Giandolfo Cogliati Dezza e l'ingegner Alberto Barbieri, fondatori e proprietari dell'ARCA, quell'ARCA che oggi non c'è più, anche se il marchio è stato rilevato da un altro costruttore. Sicuramente qualcuno di voi ebbe modo di conoscerli. Come qualcuno ha già detto, ogni cliente diventava un amico, lo seguivano personalmente, e poi organizzavano gite, rallyes, viaggi avventurosi, mettevano su campings (uno in pineta al mare, uno in montagna al Terminillo, e altri che non ricordo), davano consigli sulla guida con il rimorchio, sui luoghi da visitare, sulle attrezzature da portare, sulle strade migliori. Ricordo in particolare un consiglio di guida, che il Barbieri dette a mio padre in mia presenza, e a cui tuttora mi attengo, anche quando guido la macchina da sola: pensa sempre di stare al volante di un grosso autotreno a pieno carico; immaginatelo bene, come guideresti?... mai sterzate brusche, o frenate o accelerazioni violente, lasciati spazio intorno per quanto possibile, tieniti largo sulle curve, e mantieni distanze di sicurezza molto grandi. Con questo principio, imparato da quel signore quando avevo undici anni, non ho mai avuto incidenti per mia responsabilità in 45 anni di guida, con e senza rimorchio. Sono l'idolo degli assicuratori.
E tuttavia Alberto Barbieri si guadagnò un formidabile primato, che fece molta pubblicità all'azienda, con qualche minuto di guida spericolata: con la sua Maserati Quattroporte (la prima serie era appena uscita), e un'ARCA 900 al traino, superò la velocità cronometrata di 171 km/h. La miglior prova che il rimorchio non "scodava". Doveva essere il 1965 o '66, perché non aveva più la "Flaminia" ma la Maserati. I favolosi anni sessanta! Oggi anche quel record è stato ampiamente superato con automobili dalla potenza mostruosa di oltre 500 cavalli, ma allora era veramente straordinario. Anche quel record è una infinitesima parte di storia: anzi, a pensarci bene, tutto quel periodo è stato forse l'infinitesimo più felice, nella storia dell'umanità. Non sono certo, però, che abbia impostato delle buone premesse per il futuro.
Al ritorno da Parigi, mio padre se la vide brutta sulla discesa del Passo del Frejus. I tamburi dei freni della povera Millecento, surriscaldati, si dilatavano, il pedale, schiacciato a fondo con la forza della disperazione, scendeva sempre di più e la macchina a mala pena riusciva a rallentare, con quella tonnellata che spingeva da dietro e i suoi freni a repulsione un po' approssimativi. Nemmeno mettere la prima, serviva, su quella discesa del 12%. Più tardi, lui confessò a mia madre di essere stato sul punto di fracassare macchina e roulotte contro la parete di roccia di lato, per evitare che il nostro piccolo convoglio prendesse velocità. Per fortuna invece, la pendenza diminuì un po', e non fu necessario. Questo momento di terrore convinse i miei genitori a investire in una nuova auto, molto più grossa e potente, con quattro freni a disco e servofreno: una 2300 sei cilindri, la più grossa Fiat a quel tempo, che usavamo praticamente solo per le vacanze. Bianca e luccicante di cromature, le fasce bianche sottili sui pneumatici, silenziosissima, ci sembrava di andare su un jet di lusso. E in effetti i viaggi divennero una passeggiata, anche se il musetto sorridente della Millecento ci mancava. Discese e eventuali scodamenti del rimorchio non erano più un problema, le salite meno che mai, la temperatura dell'acqua sempre bassa, i freni potentissimi in ogni condizione. Tra l'altro i miei scoprivano con piacere che il consumo di benzina non era affatto aumentato, anzi! la Duemilaetre, capace di 117 cv di potenza massima (non ricordo la coppia) andava con un filo di gas là dove con la Millecento, che al massimo ne poteva esprimere 36, si era portati a schiacciare a fondo l'acceleratore, sprecando carburante con pochi risultati. Ai nostri giorni anche quei 117 cv sembrano scarsetti, e oltretutto i motori turbodiesel offrono una coppia molto più alta anche a basso numero di giri, il che conta molto più della potenza massima. Ma allora i diesel erano poco diffusi, e molto lenti, senza il turbocompressore; e il frontale della roulotte diventava rapidamente grigio di fumo. Le Peugeot 403 e 404, quasi le uniche diesel in circolazione negli anni '60, facevano tutte così.
Le automobili odierne sono oggettivamente molto migliori e più sicure, trainare è assai più facile di allora; ma quella sfida tecnica (c'era chi aggiungeva ventole ai radiatori per le salite, e chi invece, per dissipare il calore attraverso il radiatorino supplementare interno, apriva tutti i finestrini e metteva il riscaldamento al massimo in piena estate; chi modificava i freni, chi montava condizionatori ad acqua...), quella sfida quasi sportiva (si facevano le gare di regolarità con la roulotte agganciata, una specie di rally; e le gare in retromarcia tra i coni di gomma!), talvolta perfino pericolosa, era molto formativa. Forse solo la "Millemiglia" delle auto d'epoca ci fa rivivere adesso sfide analoghe.
Ma naturalmente l'appetito vien mangiando, e visto che l'automobile era così sicura, confortevole e silenziosa, ci si poteva permettere di trainare una roulotte più spaziosa e anche più razionale; e due o tre anni dopo, era il 1967, arrivò il momento.
Attached Image: Luglio 1964